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Ics_Note per un film
(dal movimento primo di “Racconti crudeli della giovinezza”)
ideazione e regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò
con Silvia Calderoni, Nicoletta Fabbri, Dany Greggio, Sergio Policicchio, Alexandre Rossi, Adriano e Lucio Donati, il gruppo musicale Foulse Jockers
produzione video Motus, Francesco Borghesi (p-bart.com), in collaborazione con Camera Stylo
riprese Francesco Borghesi, Daniela Nicolò, Stefano Bisulli
video compositing Francesco Borghesi
text compositing Daniela Nicolò
audio compositing Enrico Casagrande
sound design Roberto Pozzi
direzione tecnica Giorgio Ritucci
foto di scena Valentina Bianchi, End & Dna
formato miniDV b/n - colore, supporto DVD
durata 50 minuti
produzione Motus, La Biennale Danza di Venezia, Lux-Scène National de Valence (Francia), Theater der Welt 2008 in Halle (Germania), Istituzione Musica Teatro Eventi- Comune di Rimini "Progetto Reti" con la collaborazione di AMAT, Civitanova Danza, Comune di Fano - Assessorato alla Cultura, Provincia di Rimini - Assessorato alla Cultura, Santarcangelo 07 International
Festival of the Arts, La Comédie de Valence
con il sostegno di Regione Emilia Romagna, Ministero per i Beni e le Attività Culturali
si ringrazia:
per i costumi: Ufficio stampa Calvin Klein Milano, negozio Post Post di Ravenna;
per gli strumenti musicali: Woodstock di Santarcangelo;
per le locations Negozio Post Post di Ravenna, Acquario di Cattolica "Le Navi", Autodemolizioni Casadei, sala prove Suburbia di Bagnacavallo , Valentino Andruccioli;
ringraziamo inoltre i gruppi musicali The Hype, Les Bondage, Davide Sacco
e Corinna Armuzzi, Alessandro Baldassarri, Monica Burattoni, Elena Cannoni, Valentina Corani, Giovanni Errani, Davide Olivastri, Massimo Pirazzoli, Roberta Riccobene, Cesare Ricci, Patricia Rodriguez, Marco Trevisan, Matteo Vacchelli, Giulia Veronesi, Valentina Viola, Cesare Calderoni.
Un aeroporto militare, visto attraverso la rete di recinzione, un centro commerciale, una vecchia cava di ghiaia sul Marecchia, una casa con muri completamente tatuati da scritte e disegni, uno stadio vuoto…
Anche in “note per un film” i luoghi, i paesaggi e gli interni sono margini, bordi sfrangiati e sfregiati del territorio in cui viviamo, pieghe in ombra della ipotetica città lineare che va da Cattolica a Ravenna… Un margine, fatto non solo di luoghi abbandonati e dimenticati, ma anche di centri commerciali e multisale cinematografiche. Queste cattedrali scintillanti stanno in mezzo al nulla, nel cuore della Romagna agricola, tra l’odore di fertilizzanti e gli svincoli stradali.
Ci hanno fatto pensare al “palazzo di luce”, il Metro-Center descritto da J.G. Ballard in “Regno a venire”, romanzo che per la sua straordinaria lucidità, ci ha toccati e guidati nell’immaginare questo “non film”.
I pochi dialoghi, sghembi e a volte fuori sincrono, che affiorano frantumati e irrisolti nei rari momenti di incontro fra i protagonisti solitari della “non-storia”, provengono proprio dalla riscrittura di parti di questo romanzo e dell’altro ultimo Ballard di “Millenium people”.
Per scelta, ingenuità e coraggio, in “Note per un film” non c’è ne’ trama ne’ soluzione, non si arriva da nessuna parte. Non ci sono prove d’attore o coupe de cinema. Il trascorrere del tempo, la noia che affiora, sono i protagonisti indiscussi di questo lavoro.
Esponiamo il tempo che passa per inerzia, soffermandoci sui volti di un ragazzo e una ragazza che si guardano e non hanno niente da dirsi, stanno, come si sta la domenica pomeriggio, a vent’anni, seduti su un marciapiede e si attende che faccia buio, che un altro giorno passi.
Il correre veloce con i pattini, l’allenamento di una ragazza che vuole parlare ai suoi coetanei, condividere con loro un malessere, provare a realizzare “un’insurrezione invisibile dei corpi” conduce a qualcosa? L’incontro avviene? Provoca qualche cambiamento? Forse si.
Tutto comunque evapora, volatile come il nostro sguardo.
Un uomo incontra suo figlio, i due giocano, passeggiano, nulla più. Non c’è niente altro dietro, nessun disegno, nessuna metafora o doppio senso se non il vuoto. Il vuoto della normalità. Il vuoto del così come è. Affiora anche il tentativo di ricucire un rapporto, una potenziale storia, ma i lembi sono troppo fragili perché ago e filo riescano veramente a chiudere, a contenere qualcosa che si dimostra, comunque, sempre liquido e sfuggente. Le parole sono sopraffatte dal vento in camera, che le rende impercettibili, nulle, coperte da un frastuono simile a quello degli aerei che continuamente solcano il cielo del film, facendolo a pezzi.
Allora, perché? Perché mettere insieme cinquanta minuti di informazioni, (dati) numerici, che chiederanno cinquanta minuti di attenzione a chi li guarda, e sicuramente almeno altri cinque per esprimere un giudizio? Perché siamo assolutamente stanchi delle storie, per quanto belle siano, che il cinema nella sua breve, ma straripante vita, ci ha dato.
Perché continua a esistere un solo e possibile modo di costruire il cinema partendo da una sceneggiatura per far collimare gli intrecci, stupire con rimandi e capovolgimenti, nonostante anni di sperimentazioni e destrutturazioni? Perché continua a esistere un solo modo di concepire il teatro riferendosi a un testo o una narrazione quando è comprovato che può raccontare molto più un’immagine di mille parole …eppure…siamo ancora qui a scrivere queste cose.
Fare, il più possibile, ribaltando i percorsi creativi: quando abbiamo dato avvio al progetto Ics non ci siamo chiusi in sala prove, scegliendo invece di stare, all’aperto, filmando, per giorni e giorni… e ora, dopo un anno, ricuciamo le immagini in questo formato, mentre progettiamo il prossimo…
Stiamo sull’orlo di un burrone. Ma non ci buttiamo. Guardiamo il fondo, sotto i nostri piedi, muoviamo lo zoom avanti e indietro, facendo caso al ronzio che questo movimento provoca e cercando proprio di raccontare quel ronzio, che non ci infastidisce ma ci stimola ad andare dentro, dietro, sotto, la superficie dello schermo e delle cose.
Bon voyage.
Motus è stato fondato nel 1991 da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, strutturato sin dalle origini come nucleo di lavoro aperto alle ibridazioni fra arti e linguaggi.
La follia d’amore, i meccanismi artificiosi della seduzione, i limiti del corpo e la sua indagine hanno da sempre invaso le scene del gruppo: O.F. ovvero Orlando Furioso impunemente eseguito da Motus (‘98), Orpheus Glance e Visio gloriosa (2000), il progetto Rooms (‘02). Una lunga residenza in Francia ha condotto alle liriche d’amore di Pier Paolo Pasolini, alla sua irrinunciabile attrazione «per i corpi senz’anima» che popolano le notti delle periferie romane in Come un cane senza padrone (‘03) e L’Ospite (‘04). È stato poi con Rumore rosa(‘06) che il tema dell’amore e dell’abbandono è stato ancor più sviscerato, con l’avvallo di alcuni stralci di dialogo furente da Le amare lacrime di Petra Von Kant, manuale d’amore universale e melodrammatico. Il 2006 ha visto anche un ritorno a Samuel Beckett, con la video-performance A place. That again, ispirata a All strange away, l’unico testo “pornografico” dello straordinario autore irlandese.
Per la Biennale Danza 2007, Motus ha dato avvio a X(ics) Racconti crudeli della giovinezza, progetto che ruota attorno ai temi della giovinezza e delle periferie urbane…e questa ricerca su rapporti-ribellioni fra generazioni ha condotto a un nuovo progetto ispirato alla figura di Antigone, che si svilupperà nel corso del 2009.
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