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con: eleonora Sedioli, Federica Cangini |
scene: Lorenzo Bazzocchi, Eleonora Sedioli |
elettronica: Matteo Gatti |
physical computing, luci, suono: Lorenzo Bazzocchi |
ideazione e regia: Lorenzo Bazzocchi |
produzione: Associazione culturale Masque, Mood indigo |
col contributo di Regione Emilia-Romagna, Provincia di Forlì-Cesena |
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Liberamente
ispirato a "Francis Bacon. Logica della
sensazione" di Gilles Deleuze.
Il saggio del filosofo francese può essere inteso come un vero e proprio
breviario per le arti performative.
Deleuze individua tre elementi nella pittura di Bacon:
- le grandi campiture come struttura materiale
spazializzante
- la Figura, le Figure e il loro fatto
- il contorno
Il contorno viene inteso come luogo di uno scambio nei due sensi. La figura è a
volte seduta sulla sedia, a volte coricata sul letto. Sembra che stia attendendo
che qualcosa possa accadere.
Nell'individuare la dinamica del movimento e quindi
una ritmica della percezione accettiamo l'ipotesi di Deleuze, ossia: ciò che
accade è sul punto di accadere o è già accaduto.
Altro elemento che abbiamo utilizzato nel lavoro con
la figura è il cosiddetto coefficiente di deformazione dei corpi e in
particolare come suggerisce lo stesso Bacon, quello di allungamento.
Abbiamo seguito l'indicazione che il pittore ritiene necessaria affinché la
pittura possa strappare la Figura al figurativo: isolare la figura.
Tre sono le opere prese in considerazione: Head VI del 1949, Study for a
bullfight N. 1 del 1969, Painting del 1978 e tre gli accadimenti realizzati
lavorando su procedimenti di isolamento, attenendoci
costantemente ai suggerimenti di Deleuze per la costruzione di dispositivi che
non costringano la figura all'immobilità, bensì ne rendano visibile il
percorso, in una sorta di esplorazione che vada a definire un campo operativo,
in quella operazione liberatoria che egli stesso ha definito come: attenersi al
fatto.
La scena
prevederà una figura isolata, questo è vero. Una figura che
come un lottatore avrà a che fare di volta in volta con dei testimoni, un
pianoforte smembrato, la testa di un corpo-maiale, una valigia sanguinante. Ma cosa c’è oltre alla figura sulla scena? Il
depotenziamento del luogo deve far posto all’arena: lo spazio scenico che
Masque concepisce sarà allora un dispositivo di natura spazializzante, si
avvicinerà alla figura cercando di interreagire fisicamente
con essa, se ne allontanerà come se diventasse uno strumento prospettico, si
dilaterà per permettere l’anamorfosi, si schiaccerà per comprimere. C’è
nell’aria già dopo pochi minuti dall’inizio una sensazione quasi tattile; la
struttura diviene per lo spettatore lo strumento per toccare con mano la
figura. E a proposito della mano; due le questioni: cosa ci
dice la mano. Come lavora la mano… se l’unica parvenza organica è una
testa-corpo-senza corpo … è pur vero che questa tensione di doppio scambio tra
la struttura e la figura, tra la figura e il testimone, sembra comunque definire una sorta di funzionamento. Come non ricorrere qui a Self-portrait del
1973, a
quell’uomo con la testa di maiale rispetto al quale la deformazione avviene sul
posto. Lo sforzo del corpo si compie su di sé. Deleuze ci aggira, egli
stesso fluttuante sul cerchio di un contorno che stabilisce le regole del
sopravvire del senso ricordandoci come tutto il corpo sia pervaso da movimento
= “movimento deformemente deforme, che ad ogni istante
riconduce l’immagine reale sul corpo per costruire la figura …Un quadro ci può
fare da guida. Figure standing at a
washbasin del 1976: aggrappato all’ovale del lavandino, incollato
con le mani ai rubinetti, il corpo-figura si costringe ad un intenso sforzo
immobile per poter fuggire, passando tutto intero attraverso il tubo di
scarico.”
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