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Masque, Celletta Zampeschi, La macchina di Kafka
Lo spazio è ricco di una presenza immobile.
Sul corpo sventrato di un pianoforte, la tavola armonica è zona di reclusione
per l'interprete. Letto, prigione. Cella, appunto. Poi il suono si genera dal
movimento di Eleonora - lei che qui è femmina e bestia
- con movimento scattante e composto che scopriremo di natura elementare,
binario.
Parte dalle lettura che di Kafka fa Deleuze questo appunto scenico di Masque. Ruota
intorno all'idea ed alla possibilità di autogenerazione del suono. Qui il tragico accoglie il corpo
anche ludico della scena. Masque si dimostra – dopo un lungo tenace rigoroso
cammino – finalmente capace di varcare la soglia della leggerezza.
Sigilla questa leggerezza l'utilizzo dell'interattività piegata al dire drammaturgico ma capace di levità.
Ludico è un termine che a
Lorenzo
Bazzocchi
non piace, ma è un termine che se usato con pudore
mostra la consapevolezza di un gioco. Deleuze ci ha
insegnato il rapporto di fluidità tra coppie di opposti,
spazio liscio e striato, nomade e sedentario, corpo e macchina. Masque ne eredita la circolarità semiotica, la macchina scrive sul
corpo che riscrive sulla macchina. A me viene alla mente quello splendido
frammento da Corpus di Jean-Luc Nancy che nel tempo di
radicali rotture e ricominciamenti – fallimenti, appunto – mi è già stato
guida: "Non sappiamo quali “scritture” o quali “escrizioni” verranno da questi luoghi. Quali diagrammi, quali reticoli, quali innesti topologici, quali geografie
delle moltitudini. È venuto il tempo di scrivere e di pensare questo corpo
nella lontananza infinita che lo fa nostro, che ce lo fa venire da lontano, da più lontano di tutti i nostri pensieri: il corpo
esposto alla popolazione del mondo."
Estratto da "uno sguardo su Santarcangelo 39 festival" di Isabella Bordoni. Scritto integrale su succoacido.net
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