Capitolo 2

 

L’ infanzia di Nikola Tesla

 

Mi soffermerò brevemente su queste esperienze straordinarie, tenendo conto del loro possibile interesse per gli studiosi di psicologia e fisiologia e anche perché questo periodo di agonia avrebbe avuto  gravi conseguenze sul mio sviluppo mentale e sui miei lavori successivi.

Ma è indispensabile per prima cosa riportare le circostanze e le condizioni che  le hanno precedute e nelle quali si potrebbero individuare parziali spiegazioni.

Sin dall' infanzia sono stato costretto a concentrare l'attenzione su me stesso.

Questo mi ha causato molta sofferenza, ma giudicando ora, fu una sorta di beneficio che  mi ha insegnato ad apprezzare il valore inestimabile dell'introspezione nel preservare la vita, come pure i mezzi per raggiungere questo.

La pressione della professione e l'incessante flusso di impressioni che piovono abbondantemente sulla nostra coscienza attraverso tutte le porte della conoscenza rendono, per molti aspetti, pericolosa l'esistenza moderna.

La maggior parte delle persone è così assorbita nella contemplazione del mondo esterno che dimentica totalmente cosa accade al loro interno.

 La morte prematura di milioni di individui è principalmente imputabile a questa causa.

Anche tra quelli che esercitano attenzione, è un errore comune  evitare l'immaginario e ignorare i pericoli reali.

E quello che è vero per un individuo  lo si può applicare anche, più o meno, alla gente in generale.

 

L'astinenza non è sempre stata la mia preferita, ma trovo ampia ricompensa nelle esperienze gradevoli che faccio ora.

Nella speranza di convertire qualcuno ai miei precetti e alle mie convinzioni ne richiamerò solo una o due.

 

Poco tempo fa stavo ritornando al mio hotel.

Era una notte un po’ fredda, il suolo era sdrucciolevole, e non un solo taxi passava.

Poco distante dietro di me mi seguiva un'altro uomo, evidentemente come me ansioso di mettersi a letto. Improvvisamente sono andato a gambe all'aria. Nello stesso istante un flash attraversò  il mio cervello. I nervi risposero,  i muscoli si contrassero.

Feci una torsione  di 180 gradi e caddi sulle mani. Ripresi la mia passeggiata come se niente fosse successo, quando l’estraneo mi si avvicinò.

"Quanti anni ha"? domandò, esaminandomi in modo critico.

"Oh, circa cinquantanove", risposi, " A che pro "?

"Bene", lui dice, "ho visto un gatto fare questo ma mai un uomo".

 

Circa un mese fa volli ordinare nuovi occhiali e andai da un oculista per sottopormi ai soliti esami. Egli mi ha guardato incredulo come io leggessi con facilità i caratteri più piccoli a distanza considerevole. Ma quando gli ho detto di aver superato i sessant'anni egli ha emesso un sospiro di stupore.

 

Alcuni miei amici hanno osservato  spesso che i miei abiti mi si adattano come guanti ma essi non sanno che tutto il mio abbigliamento è stato confezionato su misure che sono state prese quasi quindici anni fa e non sono mai cambiate.

Durante questo stesso periodo il mio peso non è cambiato di una libbra.

A questo proposito posso raccontare una storia buffa.

Una sera, nell'inverno del 1885, il Sig. Edison, Edward H. Johnson, il presidente dell'Edison Illuminating Company, il Sig. Batchellor, direttore dei lavori ed io stesso, entrammo  in un piccolo locale di fronte al 65 della Fifth Avenue, sede degli uffici della società.

Qualcuno suggerì di indovinare il peso di ciascuno di noi  e io fui invitato a salire il gradino di una scala.

Edison mi tastò dappertutto  e disse: "Tesla pesa 152 libbre, oncia più oncia meno” e infatti egli indovinò esattamente.

Senza vestiti, pesavo 142 libbre e quello è ancora il mio peso.

Ho sussurrato al sig. Johnson; "come è possibile che Edison abbia potuto indovinare il mio peso così precisamente"?

"Bene", egli disse, abbassando la voce. "A lei lo posso confidare, ma lo deve tenere per se. 

Egli ha lavorato  per  molto tempo per una macelleria a Chicago dove pesava migliaia di maiali ogni giorno. Questo è il motivo".

Un mio amico, l'on. Chauncey M. Dupew, narra di un inglese al quale  raccontò uno dei suoi aneddoti originali; questi lo ascoltava con un'espressione perplessa, ma un anno più tardi, rise fuori di sé.

Confesserò francamente di essere ben lontano dall'apprezzare  lo scherzo di Johnson.

 

Ora, il mio stato di benessere è semplicemente il risultato di un modo attento e misurato di vivere e forse la cosa più sorprendente è che per ben tre volte nella mia gioventù mi sono ammalato gravemente e fui considerato spacciato dai medici.

Oltre a questo, per ignoranza e mancanza di leggerezza di cuore, sono caduto in tutti i tipi di difficoltà, pericoli e graffi da cui mi sono districato come per incantesimo.

Ho rischiato di annegare, di venir sepolto vivo, di perdermi e morire congelato.

Sono fuggito coi capelli al vento da cani impazziti, maiali e altri animali selvaggi.

Ho attraversato malattie terrificanti e ho incontrato tutta una serie di contrattempi e che io sia oggi tutto intero e in salute sembra un miracolo.

Ma come  richiamo questi incidenti alla mia mente mi convinco sempre di più che il mio preservarmi non sia completamente accidentale, ma derivi da una forza divina.

 

Lo scopo di un inventore è essenzialmente salvare vite.

Se egli riesce a sfruttare le forze naturali, se migliora le apparecchiature o fornisce nuovi conforti e convenienze, aggiunge sicurezza alla nostra esistenza.

Egli è anche più qualificato dell'individuo medio a  proteggere se stesso dai pericoli, ai quali dedica attenta osservazione ed ingegno.

Se non avessi altre prove che io ero, in qualche misura, provvisto di tali qualità,  le troverei in queste esperienze personali.

Il lettore sarà in grado di giudicare da solo se ne cito  una o due come  esempio.

 

Una volta, quando avevo  circa quattordici anni, volli spaventare alcuni amici che facevano il bagno con me.

Il mio piano era quello di  tuffarmi sotto una lunga struttura galleggiante e scivolare silenziosamente dall'altra parte.

Il nuoto e l'immersione mi erano naturali come lo sono per un'anatra ed ero fiducioso che avrei potuto eseguire la prodezza.

Di conseguenza mi tuffai nell'acqua e, quando fui fuori  vista, virai e procedetti rapidamente verso l'altro lato.

Pensando di essere sicuramente oltre la struttura, risalii alla superficie ma con mio spavento quella che sembrava la superficie non era altro che un raggio di sole che filtrava attraverso la struttura galleggiante.

Com’era naturale, velocemente mi  immersi di nuovo e con colpi rapidi mi capovolsi fino a quando il mio respiro non cominciò a venir meno.

Salendo per la seconda volta, la mia testa  venne di nuovo in contatto con un raggio di sole.

Cominciai a disperare.

Tuttavia, richiamando tutta la mia energia, feci un terzo tentativo frenetico ma il risultato fu lo stesso. L'impossibilità di respirare cominciava a divenire insopportabile, fui preso da vertigini e mi sentii colare a picco. In quel momento, quando la situazione sembrava assolutamente disperata,  provai a dirigermi verso uno di quei lampi di luce e la struttura sopra di me apparve prima della mia visione. Capii o indovinai che c’era un po' di spazio tra la superficie dell'acqua e i bordi che lasciavano passare i raggi del sole, e, quasi incosciente, mi lasciai galleggiare, premetti la mia bocca sulla fessura tra i tavoloni e cercai di inspirare una piccola boccata d'aria, sfortunatamente mescolata con uno spruzzo di acqua che quasi mi  soffocò.

Molte volte ripetei quella procedura come in un sogno fino al momento in cui il mio cuore, che correva a una velocità terribile, si calmò ed io potei riacquistare una certa calma.

Dopo quello feci molte altre immersioni infruttuose, avendo perso completamente il senso della direzione, ma alla fine riuscii ad uscire da quella trappola  quando già i miei amici avevano rinunciato e si apprestavano a ripescare il mio corpo.

Quella stagione dei bagni era ormai perduta per me a causa della mia sconsideratezza ma presto dimenticai la lezione e solo due anni più tardi caddi in una ben più grave situazione.

 

C'era un grande mulino con una diga sul fiume che scorreva vicino alla città dove studiavo in quel tempo. Di norma, l'altezza dell'acqua era solo due o tre pollici sopra la diga e nuotare verso essa era uno sport non molto pericoloso nel quale spesso mi cimentavo.

 

Un giorno andai, solo, al fiume per divertirmi come al solito.

Quando fui in prossimità del muro della diga, tuttavia, fui atterrito nell'osservare che l'acqua era salita e mi portava via rapidamente. Cercai di tornare indietro ma era troppo tardi. Per fortuna, però, mi salvai afferrando la sommità  del muro con entrambe le mani. La pressione contro il mio torace era così forte che a stento riuscivo a tenere  la mia testa sopra la superficie.

Non un'anima viva era in vista e la mia voce si perdeva nel frastuono della cascata. Lentamente e gradualmente mi vennero meno le forze e divenni incapace di sopportare la corrente  più a lungo. Ero lì lì per lasciarmi andare, cosa che mi avrebbe portato a sfracellarmi sulle rocce, quando vidi  in un lampo di luce un diagramma familiare che illustrava il principio idraulico che la pressione di un fluido in movimento è proporzionale all'area della superficie esposta e immediatamente mi sono disposto sul lato sinistro.

Come  per magia, la pressione diminuì e trovai relativamente facile in quella condizione  resistere alla forza del flusso.

Ma il pericolo era ancora ben presente.

Mi resi conto che prima o poi sarei stato scaravento giù, dato che non era possibile che qualsiasi aiuto mi raggiungesse in tempo, anche se avessi attirato l'attenzione.

Sono ambidestro ora, ma allora ero mancino e avevo una forza relativamente piccola nella mia mano destra. Per questo motivo non avevo avuto il coraggio di ruotarmi sull'altro  lato per appoggiarmi e non mi rimaneva nulla da fare se non spingere lentamente il mio corpo lungo la diga. Mi sarei dovuto allontanare dal mulino verso il quale la mia faccia era girata, poiché la corrente là era molto più rapida e profonda.

Fu una lunga e dolorosa prova  che non avrei superato se non avessi trovato conforto in un avvallamento della muratura. Riuscii a farcela con l'ultima oncia della mia forza e svenni quando raggiunsi la banchina, dove fui ritrovato. Mi ero praticamente strappato  tutta la pelle dal mio lato sinistro e trascorsero alcune settimane prima che la febbre sopraggiunta si abbassasse e io stessi bene.

Questi sono solo due dei molti esempi possibili,  ma possono essere sufficienti a mostrare che se non avessi posseduto un istinto da inventore, non sarei qui a raccontarvelo.

 

Alcune persone interessate mi hanno chiesto spesso come e quando ho iniziato a inventare.

Posso solo rispondere questo dal mio attuale ricordo alla luce del quale, il primo tentativo che ricordo fu piuttosto ambizioso avendo come meta l'invenzione di una apparecchiatura e di un metodo.

Inizialmente quest’ultimo venne anticipato, ma successivamente assunse una sua originalità.

È accaduto in questo modo.

Uno dei miei compagni di gioco era entrato in possesso di un amo e di una canna da pesca il che creò una vera emozione nel villaggio e la mattina seguente tutti si recarono a pescare rane. 

Io ero solo e abbandonato a causa di una lite con questo ragazzo.

Non avevo mai visto un vero amo da pesca e me lo immaginavo come qualcosa di meraviglioso, dotato di qualità particolari e mi disperavo per non essere della festa.

Sollecitato dalla urgenza, in qualche modo mi procurai un pezzo di ferro dolce, lo martellai tra due pietre aguzze, gli diedi una forma adatta e lo legai ad una robusta corda.

Quindi tagliai un'asta, raccolsi qualche esca e andai fino al ruscello dove c'erano rane in abbondanza.

Ma non fui capace di catturarne nessuna ed ero quasi scoraggiato quando mi capitò di dondolare  il gancio vuoto davanti a una rana seduta su un tronco.

Dapprima  era raccolta su se stessa ma a poco a poco  i suoi occhi si gonfiarono e  si iniettarono di sangue, si gonfiò fino a due volte la sua dimensione normale e si  lanciò sul gancio.

Immediatamente tirai. Provai la stessa cosa ripetutamente e il metodo si rivelò infallibile.

Quando i miei compagni, che nonostante il loro bel completo non avevano preso niente, vennero da me, erano verdi dall' invidia. Per molto tempo ho mantenuto il mio segreto e goduto il monopolio ma  infine cedetti allo spirito del Natale.

Ogni ragazzo poté fare quindi lo stesso e l’estate seguente fu un vero disastro per le rane.

 

Nel mio tentativo successivo, sembra che io abbia agito sotto il primo impulso istintivo che più tardi mi ha dominato, - sfruttare le energie della natura al servizio dell'uomo.

Ho fatto questo utilizzando dei maggiolini (o June bugs come sono chiamati in America) e che sono  una vera e propria calamità  in quel paese al punto da rompere i rami degli alberi con il semplice peso dei loro corpi. I cespugli erano neri di maggiolini.

Ne collegavo fino a quattro a un pezzo di legno a forma di croce, in grado di ruotare su un perno sottile e trasmettevo il movimento dello stesso a un grande disco ricavandone  così una considerevole potenza.

Queste creature erano eccezionalmente efficienti, una volta avviati, non davano alcun segno di fermarsi e continuavano a roteare per ore e per ore e  più caldo era, più la cosa funzionava.

Tutto è andato bene fino a quando uno strano  ragazzo non è giunto sul posto.

Era il figlio di un ufficiale in pensione dell'esercito austriaco. Quel monello si è mangiato i maggiolini vivi e li ha apprezzati come se essi fossero le più belle ostriche blue-point.

Quella vista disgustosa pose fine ai miei tentativi in questo campo così promettente e da allora non sono mai stato in grado di toccare un maggiolino o qualsiasi altro insetto per quel motivo.

 

Dopo quello, credo, mi misi a smontare e assemblare gli orologi di mio nonno.

Nelle operazioni preliminari  avevo sempre successo, ma  spesso fallivo in quelle finali.

Cosicché successe che egli interrompesse il mio lavoro improvvisamente e senza alcuna delicatezza,  il che ha richiesto trenta anni prima che affrontassi nuovamente un altro meccanismo di orologio.

 

Di lì a poco, cominciai a costruire  un genere di cannone a palline di granoturco che  comprendeva un tubo vuoto, uno stantuffo e due tappi di canapa.

Quando  la pistola sparava, lo stantuffo era premuto contro lo stomaco e il tubo veniva premuto indietro   velocemente con entrambe le mani.

L'aria tra i tappi veniva  compressa e portata ad un'alta temperatura e uno di loro veniva  così espulso a grande velocità.

La tecnica consisteva nel scegliere un tubo della conicità corretta dagli steli cavi che avevo trovato nel nostro giardino.

Ho fatto cose egregie con quella pistola, ma le mie attività interferirono con i vetri delle finestre nella nostra casa e incontrarono uno scoraggiamento doloroso.

 

Se ricordo bene, allora mi cimentai a ricavare spade da pezzi di mobili che ero riuscito ad ottenere ad un costo conveniente. In quel periodo ero sotto l'influsso dei poeti nazionali serbi e pieno di ammirazione per le prodezze degli eroi.

Ero solito passare ore a falciare  i miei nemici sotto forma di gambi di mais il che  procurava danno al raccolto, e a me diverse sculacciate da parte di mia madre. Per di più, queste non erano di tipo formale ma articoli genuini.

 

Ho  fatto  tutto questo e di più,  prima che  avessi sei anni e arrivasse il primo anno delle scuole elementari che frequentai a Smiljan dove la mia famiglia viveva.

A questo punto della mia vita ci siamo trasferiti nella vicina città di Gospic.

Questo cambiamento di residenza fu un disastro per  me.

Provai un dolore enorme nel dividermi dai  nostri piccioni, i nostri polli e la nostra pecora e dal nostro magnifico gruppo di oche che erano solite salire alle nubi la mattina e far ritorno al tramonto dalle loro terre di pascolo  in formazione di battaglia, così perfetta che avrebbe umiliato una squadriglia dei migliori aviatori del giorno d'oggi.

Nella nostra nuova casa mi sentivo come  un prigioniero, guardavo la gente straniera  attraverso le tendine della mia finestra.

La mia timidezza era tale che avrei preferito affrontare un  leone ruggente piuttosto che uno di quegli elegantoni di città che passeggiavano lì davanti a me.

 

Ma la prova più dura dovevo affrontarla la  domenica quando  dovevo vestirmi e servire la messa. Là sono andato incontro ad un incidente, il cui semplice pensiero sembrava farmi coagulare il sangue in latte rancido anche molti anni dopo.Era la mia seconda avventura in una chiesa. Non molto tempo prima ero rimasto chiuso per una notte in una vecchia cappella su una montagna inaccessibile visitata solo una volta all’anno.

Fu un'esperienza terribile, ma questa fu ancora peggiore.

 

C'era una ricca signora  in città, una buona ma pomposa donna, che era solita venire alla chiesa magnificamente truccata e abbigliata con un  enorme strascico e attendenti al seguito.

Una domenica avevo appena finito di dare il segnale dal campanile ed ero sceso precipitosamente al piano inferiore, quando saltai sullo strascico di questa grande dama che andava su e giù davanti alla chiesa. Ella lanciò un urlo così lacerante da sembrare lo scoppio di una esercitazione di  fuoco di rozze reclute . Mio padre era livido di rabbia.

Mi diede uno schiaffo cortese sulla guancia, l'unica punizione corporale che egli mi ha mai inflito, ma quasi la sento ancora. L'imbarazzo e la confusione che seguirono furono indescrivibili.

Fui in pratica ostracizzato  fino a quando qualcos'altro non accadde  e mi fece riacquistare la stima della comunità.

 

Un giovane intraprendente mercante aveva organizzato un reparto di vigili del fuoco.

Era stata acquistata Una nuova pompa a motore per i vigili del fuoco, procurate le uniformi e gli uomini si erano preparati per il servizio e per la parata. Il motore fu verniciato di un bellissimo rosso e nero. Un pomeriggio, furono fatte le prove ufficiali e la macchina fu trasportata al fiume.

L'intera popolazione venne a presenziare al grande spettacolo. Quando si conclusero tutti i discorsi e le cerimonie, fu dato il comando per azionare la  pompa, ma non una goccia d'acqua fuoriuscì dall’ugello.

I professori e gli esperti erano incapaci di risolvere il problema.

La confusione era completa quando  arrivai sul posto.

La mia conoscenza del meccanismo era zero e non conoscevo quasi nulla che riguardasse la pressione dell'aria, ma  istintivamente sentii che il problema poteva solo essere causato dal tubo di aspirazione immerso nell'acqua e trovai che  era collassato.

Avanzai  faticosamente nel fiume e quando lo liberai, l'acqua sgorgò precipitosamente fuori e non pochi abiti della domenica furono danneggiati.

Archimede che correva nudo attraverso le strade di Siracusa e gridava Eureka con il massimo della sua voce non fece un'impressione più grande della mia.

Fui portato sulle spalle e fui l' eroe del giorno.

 

Iniziai quindi un corso di quattro anni in quella che era chiamata la  Normal School, preparatoria ai miei studi al College o al Real-Gymnasium.

Durante questo periodo i miei sforzi di ragazzo e le mie imprese come pure le mie difficoltà, continuarono.

Tra le altre cose, ottenni la qualifica di campione di cattura di corvi nel paese.

Il mio metodo di procedere era estremamente semplice.

Entravo nella foresta, mi nascondevo nei cespugli e imitavo il grido degli uccelli.

Di solito ottenevo numerose risposte e in un batter d'occhio un corvo si agitava nel boschetto vicino a me. Dopo questo, tutto quello che dovevo fare era gettare un pezzo di cartone per attirare la sua attenzione, saltare e afferrarlo prima che si potesse districare dal sottobosco.

In questo modo ne catturavo quanti ne volevo. Ma in un'occasione è capitato qualcosa che ha fatto sì che io li rispettassi. Avevo preso una bella coppia di uccelli e stavo ritornando a casa con un amico. Quando eravamo sul punto di lasciare la foresta, migliaia di corvi avevano capito la situazione e  avevano fatto una coalizione. In pochi minuti si misero al nostro inseguimento e ben presto ci circondarono. La cosa sembrava divertente fino a quando  non ricevetti un colpo sulla nuca che mi stordì. Quindi essi mi attaccarono rabbiosamente.

Fui costretto a liberare i due uccelli ed ero felice di unirmi al mio amico che si era rifugiato in una caverna.

 

Nel laboratorio della scuola c'erano  alcuni modelli meccanici che suscitarono il mio interesse e che rivolsero la mia attenzione alle turbine ad acqua.

Ne ho costruite molte e ho trovato grande piacere lavorando su di esse.

 

Quanto era straordinaria la mia vita lo può illustrare un incidente.

Mio zio considerava inutile questo mio genere di passatempo e  più di una volta mi ha rimproverato. Sono stato affascinato da una descrizione delle Cascate del Niagara che avevo studiato accuratamente e ho dipinto nella mia immaginazione una grande ruota messa in rotazione dalle cascate. Ho detto a mio zio che sarei voluto andare  in America per realizzare questo progetto. Trenta anni più tardi le mie idee si sarebbero realizzate a Niagara e mi meraviglio del mistero impenetrabile della mente.

 

Ho fatto tutti i generi di altre invenzioni e aggeggi ma tra  questi, le balestre che ho costruito erano senz’altro i migliori. Le mie frecce velocemente scomparivano dalla mia  vista e quasi potevano attraversare un tavolone di pino dello spessore di un  pollice. Con lo stringere fermamente il corpo della balestra sul mio stomaco ho sviluppato una pelle come quella di un coccodrillo e mi chiedo spesso se è a causa di questo esercizio che sono in grado anche ora di digerire sassolini!

 

Né posso lasciar passare sotto silenzio le mie prestazioni con il lancio dei sassi che mi avrebbe permesso di dare una sorprendente esibizione all’ippodromo.

E ora racconterò di una delle mie prodezze con questo singolare attrezzo  da guerra che lascerà incredulo il lettore.Mi stavo esercitando mentre passeggiavo con  mio zio lungo il fiume.

Il sole tramontava, la trota era allegra e di tanto in tanto una saltava fuor dell'acqua quasi librandosi in aria, il suo corpo brillava e si stagliava  contro una roccia che si protendeva oltre.

Naturalmente qualsiasi ragazzo avrebbe potuto colpire  un pesce in quelle condizioni propizie ma decisi di intraprendere una strada più difficile e dissi a mio zio, nei più minuti dettagli, quello che mi apprestavo a fare. Era mia intenzione  lanciare una pietra per colpire il pesce, premere il suo corpo contro la roccia e tagliarlo in due. Non era ancora stato detto che era fatto.

Mio zio mi guardò quasi spaventato fuori dai suoi spiriti e esclamò "Vade retro Satana!" e trascorsero alcuni giorni prima che egli mi parlasse di nuovo".

Altri ricordi, pur  grandi, saranno dimenticati ma per quello che ho appena citato potrei riposare sugli allori per altri mille anni.