27/06/2024
Franco Cordelli
Corriere della Sera

Siamo al Macro. Seduto su una delle sedie disposte ad arco di fronte alla scena aspetto che finisca lo spettacolo precedente della rassegna Buffalo.
Nell’attesa mi viene in mente Armando Pugliese, scomparso a Napoli, dove era nato, pochi giorni fa. È stato celebrato per un capolavoro, Masaniello, ma Pugliese è un regista da 160 spettacoli: un vero artigiano, che non di rado divenne un artista. Sono indi-menticabili II barone ram-pante, ‘O scarfalietto e Ubu re. Nella fase iniziale della sua storia fu un regista d’avanguardia – sto parlando di quell’avanguardia che parte da un testo e che per quanto lo si possa manipolare, a esso rimane fedele.
Tutt’altro discorso, ovvero tutt’altra avanguardia è quella che al Macro vi viene proposta dal Teatro di Roma, a cura di Michele Di Stefano. Dico tutt’altro discorso perché siamo ai limiti in cui teatro e danza si confondono e, unendosi, si rafforzano. In quell’area dell’esperienza teatrale torno a vedere uno spettacolo di Ma-sque teatro, una compagnia nata a Forlì nel 1992 e diretta da Lorenzo Bazzocchi. Ne ri-cordavo uno spettacolo dedicato a Nikola Tesla e Il ragazzo criminale, dedicato a Genet. Ma anche l’ultimo che avevo avuto occasione di vedere, Just intonation all’Angelo Mai – ormai sette o otto anni fa.
Quest’anno in scena c’è Eleonora Sedioli, in Voodoo. Così comincia una dichiarazione di Bazzocchi: “La necessità di una lucida trance sembra essere la costante indicazione che ci viene consegnata quano si cerca di cifrare l’ardua lotta che sta alla base del cominciamento”. Siamo insomma in un’area di principi filosofici, per non dire astratti – da cui lo stesso titolo, Voodoo, una religione afroamericana, in sommo grado spiritualista (voodoo si-gnifica segno del profondo). In scena non c’è che uno sgabello, all’estrema sinistra e un albero dai rami spogli. Tra l’uno e l’altro un lungo tappeto. Eleonora Sedioli è seduta sullo sgabello, vestita con una camicia e un pantalone multi colori. Nell’incalzante ritmo di percussioni che dureranno per tutti i trenta minuti dello spettacolo, la protagonista cerca di raggiungere l’albero. Si alza e si siede: non ce la fa a restare in piedi. Un braccio oscilla, lei rotea su se stessa, vacilla, si scuote, si raggomitola, con un colpo di reni scatta in piedi, avanza, barcolla, arretra girandosi verso di noi (spettatori), cade in ginocchio, si rialza, scivola, prova ad avanzare con mani e piedi, ricomincia daccapo, si alza di nuovo, procede verso la sua meta, resta sdraiata, batte a terra la testa, non riesce a rialzarsi in piedi, ancora una volta gira su di sé, come un ubriaco, infine si libera dei suoi abiti che intanto si sono stracciati, è nuda, si abbraccia, è sotto l’albero, si ferma. Passa un minuto di silenzio prima che partano gli applausi.
Più che un’immagine di ascesi, qualunque essa sia, è una indubitabile e lancinante Immagine di miseria e disperazione.

27/06/2024
Franco Cordelli
Corriere della Sera