Vediamo
di formulare diversamente la stessa domanda. Come
sappiamo ci sono due modalità del fare..... La
poiesis è un fare che produce qualcosa e si realizza solo nell’oggetto
prodotto; la praxis, da cui viene il termine “prassi”, è un fare
che non si misura per la cosa prodotta, cioè non si misura per l’opera
ma si misura in se stesso. E’ un esercizio e non più un produrre.
Il
problema che tu sollevi tra ricerca e produzione è il problema del
rapporto fra queste due dimensioni del fare. Cioè tra un fare che
ha il suo fine in se stesso e quindi non ha tempo e non ha opera
perché non deve produrre opere, non lo ha come scopo. Se
produce opere le produce come scarti, dovendo necessariamente sottostare
a quei ritmi e a quei criteri di efficacia che sono i criteri dell’efficacia
poietica, cioè del fare produttivo, ma è evidente per il ricercatore
che non è l’opera lo scopo del suo fare. L’opera è in qualche modo
quello che si dona, che si concede al mondo circostante perché il
mondo circostante dà la legge di quel fare, che è il fare produttivo.
Questa distinzione tra le due modalità del fare, poiesis
e praxis, è fondamentale per capire cos’è la ricerca e per capire
anche l’impossibilità strutturale che ci sia, se non attraverso
questa logica di scarto, un incontro tra ricerca e mondo della produzione.
Questo
porta a riformulare l’altra questione che tu ponevi, in questi termini:
che tipo di comunità si costituisce su un fare poietico e che tipo
di comunità si costituisce su un fare praxico? Quindi laddove quello
che conta è l’esercizio, la praxis,
che tipo di comunità si può costituire? Io rispondo: la comunità
che ha un legame sociale da rinegoziare ogni giorno e mai definito
istituzionalmente. È un
problema enorme che ha attraversato tutto il novecento: la
possibilità di una comunità costituita al di fuori della dimensione
dell’opera. Un caso esemplare è il collegio di sociologia e la ricerca
fatta in tutti gli anni trenta da Bataille intorno alla possibilità
di una comunità che non si misura più con il tempo della produzione,
che non ha bisogno di rispettare il principio della scadenza, dell’efficacia.
Una comunità che si costituisce nell’istante e che quindi in ogni
istante è sempre a rischio di essere perduta. La
comunità che viene, se c’è, è una comunità di questa natura. Certamente
faccio fatica ad incrociare queste due modalità del fare e credo
che se certi teatri incrociano il mondo della grande produzione
sarà sempre per un equivoco. Rocco
Ronchi
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