con Eleonora Sedioli
tecnica Angelo Generali
costumi Mood Indigo_Bo
foto Luca Del Pia
regia, ideazione, luci e macchine Lorenzo Bazzocchi
produzione Masque teatro
con il contributo di Comune di Forlì, Regione Emilia-Romagna, Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
Figura o corpo. Né una né l’altro. Solo ectoplasmi. Il corpo:figura attraversa un varco ed oltre se ne vanno discontinuità, sezionamenti, stratificazioni. La figura che già non è più tale, in bilico com’è tra distanziazione e prossimità, segue da vicino i diversi passaggi della sparizione, si guarda dall’alto del suo stesso sguardo, e si vede disfarsi, sino al dissolvimento.
Nella moltiplicazione dei corpuscoli elementari un nuovo organismo prende forma, generantesi come inviluppo o bozzolo o membrana che avvolge il corpo che già non è più. Non si tratta di concepire il movimento della figura come «una modifica o l’attualizzarsi di uno stato», ma come il manifestarsi sincronico di energie multiple condensantesi sul corpo che infine cessa di esistere.
Siamo quindi in quattro, corpo, figura, immagine, ectoplasma o fantasmale. Questo l’ordine delle apparizioni. Una polarità binaria, lineare, sequenziale, causale. Nel gioco temporale delle mancanze e degli abbandoni, le onde del rimosso si frangono su di una barriera incorporea che oppone loro solo la parvenza di un rigetto. Un’onda che vibra sul posto, che materializza il ricordo, che fa riemergere il perduto, che sopravvive a se stessa.
Da qui in poi quello che osserviamo lo incorporiamo. Redivivi, sopravvissuti allo scarto vitale cui stiamo assistendo, ci avviciniamo. Non esiste comunque alcuna comunione, e ciò sarebbe da subito chiaro se si riuscisse come terzi a guardar dall’esterno quella scatola: i destini sono separati e lo sono stati sin dall’inizio, addirittura prima che tutto nascesse, prima dell’intenzione, della necessità, infine della trasformazione. Che non è passaggio di stato, mutamento proteiforme o camaleontico, è divenir altro, anzi esser-divenire leopardo.
Dice «help me» l’animale umano di Annihilation, ma lì si tratta di trasformazione indotta, di trasmutazione genetica, qui di rifasamento, di ridistribuzione delle energie, di ricollocamento delle linee generatrici del cristallo.
Di fronte alla dimenticanza di sé, al susseguirsi ininterrotto degli abbandoni e degli inevitabili ritorni, abbassiamo lo sguardo, e sussurriamo tra noi, che viva, e, infine, che ci protegga. La trasfigurazione è sintomo di santità. Superfluo dire che si tratta di altra specie di venerazione: piuttosto di un trasporto senza condizioni, estasi della caduta.
Al pari del corpo dell’uomo su cui Marey aveva apposto il bottone d’argento, destinato a lasciare di sé sulla lastra fotografica solo una traccia luminosa, la nostra creatura abbandona gli abissi e diviene luce, pura energia in movimento.
|
|