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Quando avvicinammo per la prima volta l’incredibile storia di Nikola Tesla frequentemente ci tormentò l’idea di avere a che fare con una sorta di leggenda metropolitana: come poteva essere possibile che l’uomo che aveva realizzato la prima centrale elettrica al mondo imbrigliando le cascate del Niagara, potesse essere un perfetto sconosciuto ed anzi lasciato nell’angolo oscuro della storia scientifica ed umana del secolo appena passato di cui chiaramente era stato il protagonista?
Il fatto che fosse l’inventore del sistema trifase di distribuzione della corrente elettrica che tuttora alimenta le nostre industrie e le nostre case, che detenesse i brevetti del primo motore a corrente alternata e dei primi apparecchi di trasmissione radio (fino al clamoroso riconoscimento, nel 1943, da parte della suprema corte degli Stati Uniti, della paternità dell’invenzione della radio appunto, a scapito del nostro Marconi) non sembrava aver influito minimamente sulla notorietà dello scienziato serbo..>>>
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Dopo aver presentato sotto diverse forme lo straordinario universo legato a quello che è stato definito come l’inventore del XX secolo, Masque si concentra su uno specifico capitolo dell’avventura umana e scientifica del grande inventore serbo, indagando in profondità le ragioni del suo azzardo e le motivazioni che lo portarono alla convin- zione finale di poter trasmettere grandi quantità di energia attraverso l’etere. Nella tarda primavera del 1899 Tesla costruirà il suo nuovo laboratorio alle pendici delle Pike’s Peak mountain in prossimità della ridente località di Colorado Springs.
Dopo aver trascorso molti mesi e speso grandi energie nella replica di quello che Tesla chiamò “Magnifying transmitter”, Masque qui indaga la natura del fulmine nelle sue forme: atmosferica, mitica, artificiale. Abbiamo inseguito l’avventura di questo ricercatore nella notte mentre lotta per carpire il segreto del fulmine alla tempesta, abbiamo con lui ascoltato i battiti e i tremori della saetta nascente, le sue intime manifestazioni, la sua terrificante virulenza, la sua fragilità. >>> |
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Come reagisce l’uomo alla notizia che la natura delle cose non è univoca e si manifesta con una doppia immagine meccanica e vibrazionale al tempo stesso?
Come sopravvivere alla propria morte senza avere certezza della propria consistenza? Ricordo interminabili discussioni con mio padre Giulietto, maestro elementare, e le congetture fantastiche che formulavo ogniqualvolta si parlava di spazio e di tempo.
Qualcuno lancia un sasso e lo va a raccogliere. Se si suppone che i lanci procedano in linea retta egli sarà sempre in grado, prima o poi, di raggiungere quel sasso e di scagliarlo nuovamente in avanti. Reiterando all’infinito quel gesto supponevo si potesse dimostrare, quasi banalizzandola, l’infinità dello spazio. Mio padre sempre rispondeva che, come qualcun altro ha ben detto, lo spazio potrebbe esser curvo e che quindi il mio peregrinare verso l’infinito potrebbe non essere altro che un girare intorno a noi stessi.
Rimanevo comunque convinto della mia originaria sensazione. L’inconciliabilità tra quello che appare come razionale ed evidente ai nostri sensi e la vera natura delle cose mi spinge a ricercare con pervicacia, anche se con notevole affanno, quello stato originario che possa far avanzare, passo dopo passo, verso la propria riconoscibilità. Vorrei chiamare questo affanno “passività”.
Nel Marmo di una civiltà esausta con Masque Teatro
di Massimo Marino - Controscene
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Liberamente
ispirato a "Francis Bacon. Logica della
sensazione" di Gilles Deleuze.
Il saggio del filosofo francese può essere inteso come un vero e proprio
breviario per le arti performative.
Deleuze individua tre elementi nella pittura di Bacon:
- le grandi campiture come struttura materiale
spazializzante
- la Figura, le Figure e il loro fatto
- il contorno >>>
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Il giovane criminale, Jean Genet, 1948. Un chant d'amour, 1950. Soprattutto quest'ultimo. Uomini necessariamente soli. Lì, nel film, scossi dal desiderio dell'altro. Carnalmente molli, duri, eccitati, prostrati. Il meccanismo si ripete, regolarmente. Desiderio, masturbazione, leggerezza. Sesso, Sudore, Sperma. Siamo appena entrati e già voltiamo loro le spalle. Ci interessa lo scarto tra la condizione iniziale e quella finale. Ecco la figura: è lì, isolata. Descriviamola. >>>
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Davai: sembra ripetere eternamente l’altro eroe dell’opera. Le membra fragili si staccano dalla terra ed emergono nell’acqua putrida e gelida.
Davai …. e Ivàn se ne va. Nel grembo di quell’uomo che ci dà la madre, nasce la culla perenne dei nostri sogni. Inseguili, custodiscili, rassegnati ad essi, sii loro così vicino da non riconoscerli più. Sempre sull’attenti. Qui. Ora. Al posto di guida. Su questo quaderno mastro. Scrivere di qualcosa che non esiste. Che sta nascendo. Eppure il fatto vorrebbe sopraffarla, deve averla vinta. Noi, gli intenti ai fatti, coloro che fondono le cose e i luoghi, rame solforoso per un bronzo che non si affatichi, noi, dicevo, perso nell’intento di una scrittura che cerca coloro che un tempo educarono, i poveretti, cercatori di ori marci, di tigri pigre, affossati mestamente. >>>
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Registrazione
fedele dei movimenti della mente di un uomo alle prese
con uno spazio vuoto.
Davanti
a
lui una parete bruciata, arsa dal fuoco.
Aspetta.
Si siede a terra e guarda.
Il treno
delle vite che si affacciano sul quel luogo corre veloce,
binari paralleli in incessante allontanamento.
Sembra
quasi che quella
parete non
sia immobile bensì fugga indietro
con una lentezza vertiginosa.
Lontano
dalla realtà. Egli ben sa che il suo agire non gli serve per farsi conoscere al
mondo, quanto per conoscerlo.
Manda
pattuglie in avanscoperta, crea avamposti in un territorio che, se dice non può
essere nemico, ha certo regole diverse, logiche altre.
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Per
raccontare ciò che è stata per noi la conferenza spettacolo Improbabili
previsioni del tempo tenutasi nelle giornate dal 7 al 10 ottobre 1999 negli spazi del magazzino n. 28 della Ex centrale frigorifera
specializzata di Verona, abbiamo scelto di affidarci
al “tempo del ricordo”.
Per
noi la conferenza era iniziata nel momento in cui posammo il piede
in quel capannone, mappato per l’appunto con il numero 28, completamente
abbandonato dalla amministrazione veronese al suo destino e non
incluso negli spazi che l’associazione Interzona allora gestiva,
un territorio cioè che per essere vissuto doveva essere conquistato….sul
pavimento 20 centimetri di guano...>>> |
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IL PROCEDIMENTO È
IL MEDESIMO:
COME TUFFARSI IN AMLETO Come già sapete, le grandezze turbolente dipendono anche dallo stato di
moto e possono essere considerate funzioni del posto ed eventualmente del tempo.
E' però da mettere in evidenza che il passaggio del moto da laminare a completamente turbolento è sostanzialmente continuo.
In molti casi si possono individuare le seguenti tappe fondamentali:
1. Amplificazione con meccanismo lineare dei disturbi bidimensionali
2. Trasformazione dei disturbi da bidimensionali a tridimensionali e loro amplificazione per effetto di meccanismi non lineari
3. Formazione di una macchia turbolenta
4. Estensione di detta macchia, fino ad interessare l'intera regione di moto. >>>
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L’esposizione di tavole fotografiche nasce come opera a se stante dall’incontro tra il fotografo di scena Enrico Fedrigoli e la performer Eleonora Sedioli / Masque teatro
Le stampe rigorosamente in bianco e nero, traggono linfa dagli ultimi spettacoli di Masque teatro Just Intonation e Pentesilea, e sono realizzate con la tecnica del banco ottico, che permette di cesellare a tal punto la materia fotografica da restituire all’occhio la grana della pelle nuda che stride sul ferro delle corde dell’arpa.
“Il tempo è il primo strumento per manovrare il banco ottico.
Ogni tempo di esposizione è come una pennellata e corrisponde ad una qualità di colore.
Il banco ottico è come un cervello. Un contenitore con un buco. Nient’altro. Attraverso un tempo di osservazione e di esposizione volevo capire che cosa ci fosse dietro alla raffigurazione, ciò che l’occhio non riusciva a vedere. Così ho cominciato a lavorare sull’invisibile”. Enrico Fedrigoli Enrico Fedrigoli fotografo di scena / Ritratti_ Altre Velocità
Es / Enrico Fedrigoli - SuccoAcido |
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KIVA è una indagine sul movimento. L’azione viene scomposta nella somma di eventi singolari all’interno della medesima sequenza ritmica. La parcellizzazione dell’azione in cluster isolati permette, a chi osserva, di cogliere gli istanti iniziale e finale delle micro-azioni producendo una sorta di diffrazione dei corpuscoli di movimento elementari. Ciò rinnova, da step a step, la sensazione, in chi vede, di partenza e di arrivo, di slancio e di acquietamento, di nascita e morte. Il continuo rinnovarsi di aperture e chiusure secondo lo schema noto «inizio, svolgimento, fine» produce un accrescimento della sfera energetica che seppur inizialmente imposto alla figura diviene necessario alla stessa per poter sopravvivere allo spettro della ripetizione... >>>
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Al centro della
vicenda stanno due destini: quello dello strumento e quello della figura.
Resta il corpo e il
movimento che rende impercettibile la forma.
Il segreto opera
nella più grande visibilità, data dalla moltiplicazione delle figure astratte e
animali che creano l’effetto di un nascondimento. Il corpo-donna diviene
segreto senza nascondere niente, a forza di innocenza e precisione, persino a
costo di una spaventosa tecnicità.
Just intonation ci
pone di fronte ad una figura che si rende impercettibile per eccesso di
trasparenza. È il disfarsi di una forma in divenire che segna l’opposizione
alla forma/significanza/ordine e al controllo dispotico. >>>
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La natura come una macchina_di Franco Cordelli_Corriere della Sera
Just intonation. Masque Teatro e l’alternativa_di Simone Nebbia_Teatro e Critica
L'intonazione kafkiana del corpo_Sara Baranzoni_Artribune
Amor vacui. L’attore e l’assenza_Enrico Piergiacomi_Doppiozero |
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Una lamiera è sospesa su pistoni pneumatici che ne variano il profilo imponendole perimetri variabili. La superficie metallica accoglie la figura. Il corpo aderisce alla sinusoide d’acciaio, ne coglie le variazioni, arcua la linea dell’orizzonte, ritorna in stato di quiete. Materia inerte che viene modellata, la figura si pone costantemente in un divenire simbiotico.
Valvole pneumatiche soffiano aria nei pistoni-colonne. >>>
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Il respiro del tempo_di Sara Baranzoni
Corpo peso respiro_di Massimo Marino |
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La linea di condotta (Die Massnahme) viene messa in scena a Berlino il 14 dicembre del 1930. Non è trascorso neppure un decennio e la rivoluzione bolscevica appare ancora “giovane e bella”. All’oscuro delle purghe staliniane e della deriva totalitaria verso la quale sta precipitando il movimento comunista sovietico, si guarda alla Russia come nazione guida contro la barbarie dell’imperialismo coloniale e l’ottusità di un capitalismo selvaggio che sta mostrando nel fascismo italiano e tedesco i suoi lati più oscuri. >>>
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Liberamente ispirato all’opera di Heinrich von Kleist e riletto attraverso
l”’Anti Edipo” di Deleuze e Guattari.
Maschio Bianco Adulto. Condizione patologica.Geneticamente compromesso con la Natura Killer.
Pentesilea/Achille entità “schizo”.
Come mi devo comportare? “L’ es funziona ovunque, ora senza sosta, ora discontinuo.
Respira, scalda, mangia. Caca, fotte.
… Ovunque sono macchine, per niente metaforicamente: macchine di macchine, coi loro accoppiamenti, colle loro connessioni.
Una macchina-organo è innestata su una macchina-sorgente: l’una emette un flusso che l’altra interrompe.” >>>
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La macchina e l'umano. Pentesilea di Masque teatro_di Lorenzo Donati_Altre Velocità
La danza feroce di Pentesilea_di Magda Poli_Corriere della Sera
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Materia cani randagi trae la sua origine dagli scritti di Carlo Michelstaedter, in particolare è “ La Persuasione e la Retorica ” a condurci nell’universo del non finito, del movimento interrotto, della impossibilità di finitudine dell’atto attorico. “…la vita sarebbe se il tempo non le allontanasse l’essere costantemente nel prossimo istante …”. >>>
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Lightning poem
Danger. High voltage! Un fulmine scocca dall’elettrodo di ottone sulle nocche metalliche del guanto. L’uomo sa che l’acciaio siliconico lo proteggerà.
E’ dritto, in piedi. Lo sguardo verso l’orizzonte che minaccia tempesta. Già il tuono lo coglie. Non è impreparato. Ma ora che il suo piede cadenza un ritmo di luce viola, ce l’abbiamo fatta, dice tra sé e sé. I violet ray che attraversano l’aria sotto i suoi piedi sono mortali, ma da tempo ha indossato alte calzature foderate di piombo. Globi gialli si alternano, i relè fissano il ritmo. E’ il momento. >>>
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La struttura drammaturgica è basata sul concetto di
“canone”.
L ’idea di canone è che un unico tema venga contrapposto
a se stesso. In pratica le varie voci che partecipano al canone eseguono
ognuna una copia del tema.
Lavorano nel laboratorio di Edison quattro soggetti
ipnotici, tra cui un soggetto isterico. Essi compiono quotidianamente
“esercitazioni” per affinare le loro capacità di simulazione. E’ per questa
ragione che Edison (l’inventore) insiste sulla necessità di allenare i
soggetti a funzionare adeguatamente, prima di tentare la sperimentazione.
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In alto stanno l’energia e la decisione, in basso,
la passività nella sua forma più irrisoria: l’illusione del movimento,
l’autoinganno!!! La metà superiore del grande vetro è il regno della sposa.
All’estrema sinistra, la sposa in persona, o più esattamente in una delle
sue personificazioni: la sposa è un meccanismo, e la sua umanità non risiede
nelle sue forme, né nella sua fisionomia, la sua umanità è simbolica!!!
La sposa propriamente detta è appesa ad un gancio; la sagoma è identificata
come una figura femminile, acconciata con un cappello ed un velo. Sotto
la testa la mortasa sostiene un’asta o fusto metallico collegato al magnete
di desiderio. Il magnete di desiderio contiene in una gabbia la materia
di filamenti. Una secrezione della sposa al momento della sua fioritura.
L’asta del magnete di desiderio è un’asse, e da ciò deriva che il suo
altro nome sia albero tipo o motore a cilindri deboli, collegato ad una
specie di siringa o pungiglione: è la vespa.
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