|
MY BODY
Progetto modulare
solo e trio
Un’affermazione di vita.
Un’accettazione disarmata del nostro essere fragili, vulnerabili, precari.
Tutto quello che siamo e che facciamo è sempre ad un passo dal limite.
progetto: Stefania Tansini
danza solo: Stefania Tansini
danza trio: Miriam Cinieri, Luca Piomponi Stefania Tansini
luci: Matteo Crespi
Suono: Claudio Tortorici
Con il sostegno di
L’arboreto - Teatro Dimora di Mondaino
Teatro Petrella di Longiano (residenza 2020)
Masque Teatro (residenza 2020)
My Body è un progetto modulare che si articola in un solo e in un trio.
Da una parte l’individualità e il mondo, dall’altra la comunità e il mondo.
Due prospettive di una medesima domanda. Due modalità di essere, di stare, di fare.
Non distanti, ma diverse. Non opposte, ma complementari e inclusive.
My Body si sofferma sulla questione esistenziale.
Che cosa facciamo? Come stiamo? Da soli, con gli altri, con le cose, con il mondo...
Che cosa ce ne facciamo di questa vita, in questo corpo, in questa situazione?
Si domanda quali strade può prendere e in quali forme si può incarnare il vitalismo umano che ci appartiene e nel quale siamo immersi.
Che si tratti di un’individualità solitaria o di un’individualità in un gruppo, non cambia la spinta vitale che ci spinge verso il mondo e verso gli altri.
Un corpo o tre corpi. Ognuno vicino a sé stesso, ognuno in una ricerca individuale che si proietta verso il mondo o verso l’altro.
In che modo? Con quale limite? Come sta? Cosa fa? Come stanno? Cosa fanno?
Qui sta la ricerca formale. Nel trovare un linguaggio che trasli le regole del gioco della vita in una composizione non tanto coreografica, quanto esistenziale.
Come un’esistenza può stare? Come tre esistenze posso stare?
Come dietro questa semplicità, questa accettazione delle cose e di sé stessi, dietro alla banalità dell’essere, dentro la relazione tra i corpi, si celi una complessità di possibilità che emergono grazie all’azione. Azione intesa come gesto, movimento, danza. È nell’azione, nella relazione tra l’individuo e la situazione che il corpo tenta di essere posseduto e di possedere, che rivela le possibilità celate che lo circondano e che attendono solo di essere manifestate.
L’individualità, il my body, prende un senso in quanto inscritta in un disegno più grande, in una relazione che coinvolge gli elementi di cui è circondato e in cui è immerso (luce, oggetti, abiti, suoni, luogo, gli altri corpi, la situazione…). Ciò a cui tende è l’incontro con le cose e con il mondo. Una necessità, una spinta vitale non forzata, ma già presente nel momento in cui il corpo c’è e agisce, nel momento in cui tre corpi ‘ci sono’ e stanno, insieme.
Una solitudine e una comunità troveranno strade differenti nelle quali incanalare questo vitalismo, perché diversa è la situazione attorno al corpo, ma l’origine è la stessa, la domanda esistenziale rimane tale.
Da una parte una ricerca di appropriazione del nostro lato materiale, carnale, biologico, fisiologico, dall’altra un desiderio involontario, quasi una sensazione istintiva, di rendere il nostro corpo un canale dell’invisibile, un veicolo di tutto quello che non si vede ma si sente, dello spirito che anima ogni nostro moto, interiore o esteriore.
Un’idea di un percorso più legato alla composizione umana che coreografica. Una ricerca della verità intima di un essere umano o di tre esseri umani, di tre corpi: il primo gruppo possibile che spezza l’univocità della relazione per creare una rete più ampia.
Un processo che non vuole tralasciare la precisione della tecnica, che non abbandona il rigore del corpo che arriva però successivamente, in quanto forma, in quanto necessario strumento per poter entrare in dialogo con chi ci osserva.
Una ricerca di vita, nella sua essenza più vera, essenziale, scarna, libera da sovrastrutture ideologiche o intellettuali. Il tentativo di rivelare in modo puro quello che ci muove.
E la danza c’è in quanto massima espressione della necessità di rendere la vita nella sua essenza più immediata. Massimo utilizzo del proprio corpo libero da ogni vincolo linguistico e dialettico, in grado di instaurare una relazione diretta, senza un senso utilitario, ma con un senso cosmico. Come un’unione involontaria del tutto, che include, nella sua inutilità, me, te, gli altri e il mondo. Un collante tra le cose, che nasce dalle profondità misteriose di noi stessi.
Il lavoro del corpo risiede nella sua capacità di far emergere questo potenziale. Di portare, con la sua presenza e la sua azione, la fiamma olimpica di una forza che lo trascende, che arriva, vive e va. Che esiste molto prima del corpo, che si incarna e si mostra grazie al corpo e che prosegue oltre.
Qui sta la disciplina quotidiana e meticolosa: nel rendere il corpo trasparente ma presente, sensibile a sé stesso e a quello che lo circonda, attento a questa prospettiva di visione delle cose, e capace di agire in questa visione, capace di accogliere e rispondere agli stimoli esterni, che lo modificano e che lui a sua volta modifica. Rendersi materia chiara, precisa e puntuale di questo scambio energetico, grazie all’azione e alla presenza, al modo in cui sta e agisce.
|
|
STEFANIA TANSINI
Nata nel 1991, a Ponte dell’Olio (Pc).
Dopo gli studi di ginnastica artistica e di danza classica, nel 2014 si diploma come danzatrice presso la Scuola D’Arte Drammatica Paolo Grassi, sotto la direzione didattica di Marinella Guatterini. Di fondamentale importanza sono gli incontri con Enzo Cosimi, Dominique Dupuy, Cesc Gelabert, Jonah Bokaer, Maria Consagra.
Nel 2014 prende parte allo spettacolo di Dario Fo e Franca Rame Storia di Q e inizia a lavorare come danzatrice in tutte le produzioni di Simona Bertozzi: Animali senza favola (2014), Prometeo: Contemplazione (2015), Prometeo: il Dono (2015), Prometeo: Astronomia (2016), And It Burns Burns Burns (spettacolo finalista del Premio UBU Danza 2017) e nell’assolo Flow On River (2018). Nel 2016 inizia a lavorare con Luca Veggetti per gli spettacoli Non essere, una tentazione (2017), Quarto personaggio (2018), L'inferno dello sguardo (2019), e con Ariella Vidach per Temporaneo Tempobeat. Si confronta con alcune esperienze di video-danza (Interferenze, cortometraggio, L'isola sbagliata, film, Piano Social, video musicale del musicista Francesco Orio) e nel 2017 viene chiamata da Romeo Castellucci per prendere parte alla sua nuova produzione Democracy in America e nel 2018 al Flauto Magico, opera lirica con la regia di Castellucci e le coreografie di Cindy Van Acker.
Ha lavorato con Emanuela Tagliavia, in Hopper Variations (2014) e Combustioni (2015), e con Mette Sterre (curatore Robert Wilson) nella performance Structurealist (2015).
Collabora con Corona-Events come trampoliera, coreografa e assistente alla regia.
Altri incontri fondamentali: Roberta Mosca, Yasmine Hugonnet, Raffaella Giordano, Michalis Theophanous, Cristina Rizzo, Jan Fabre.
Da sempre è stata accompagnata dalla necessità e dal desiderio di un percorso autoriale di ricerca sul corpo e sul movimento.
www.stefaniatansini.com
▼
Simone Azzoni (1972), si è laureato in lettere moderne e filosofia nel 1996. È critico d’arte e docente universitario di Storia dell’arte contemporanea, insegna inoltre Lettura critica dell’immagine e Lettere; si interessa di Net Art, New Media Art e Art marketing tips. Ha curato numerose mostre in luoghi non convenzionali, è critico teatrale per riviste e quotidiani nazionali, tra cui Artribune e Darsmagazine, ed è autore di seminari di Lettura critica dello spettacolo presso l’Università di Verona. Organizza rassegne teatrali di ricerca e sperimentazione con la Fondazione Teatro Nuovo di Verona è co-direttore artistico di Theatre Art Verona. È autore di testi teatrali rappresentati in tutto il mondo. |